EDITORIALE: L’uragano del 5 marzo 2015

L’uragano del 5 marzo 2015
di Raffaello Giannini
Università di Firenze
Durante la notte tra il 4 e 5 marzo scorsi, una violenta perturbazione atmosferica proveniente dai Balcani ha causato in Toscana ingenti danni colpendo in modo sensibile molte aree boscate dei versanti appenninici e delle aree costiere tirreniche. Effetti gravi si sono verificati poi su parchi, giardini, alberature e, in modo diretto ed indiretto, per caduta di piante, sulle strutture urbane e di comunicazione nonché, purtroppo, su persone.
Le prime valutazioni indicano che a livello regionale l’uragano ha inciso pesantemente distruggendo il soprassuolo forestale su di alcune centinaia di ettari. Particolarmente colpiti i boschi ubicati sui versanti esposti da sud ad ovest della catena principale, quelle del Pratomagno e dell’Alpe di Catenaia. In queste aree i danni di maggiore intensità si sono verificati a spese dei soprassuoli puri e misti di conifere di impianto artificiale nello stato di sviluppo di bosco adulto ed a densità elevata. Nell’area costiera, tra Massa e Viareggio, l’uragano ha agito con forza distruttiva sulle pinete di pino marittimo e pino domestico. Numerosi poi i danni di minore entità diffusi su tutto il territorio. Anche se in presenza di pioggia e neve, il fattore distruttivo dominante è stato il vento che ha colpito gli alberi nella parte aerea (schianti di fusti) e ha causato frequenti sradicamenti. In effetti i fattori critici sono diversi che, tra l’altro, agiscono con azione congiunta. In primo luogo la violenza del vento (sono state stimate raffiche con velocità di oltre 140 km/ora) e la sua irregolarità in prossimità del suolo, le caratteristiche dei profili delle creste e dei versanti, la mancanza di barriere naturali. Tutto ciò trova una relazione stretta con l’ubicazione degli alberi. La loro resistenza è determinata dai caratteri fenotipici specifici quali la forma e la natura degli apparati radicali e di tratti che hanno una relazione diretta con l’ancoraggio al suolo della pianta: il rapporto tra la biomassa delle radici e quella della parte aerea, l’altezza e lo stadio di sviluppo, l’età, la forma, l’architettura della chioma, ecc. Essenziali sono il loro stato di salute e la loro storia pregressa. Si presenta ora imminente l’opera di ripristino: non sarà facile, necessiterà di grande impegno su  tempi lunghi e applicazione continua. Una prima fase del lavoro dovrebbe riguardare un’analisi accurata descrittiva dei danni che si sono verificati il cui scopo è quello di pervenire alla più accurata stima degli agenti chi potremmo definire concomitanti o aggravanti anche se, in un primo momento, potrebbero essere giudicati insignificanti di fronte ad eventi naturali eccezionali. Una seconda fase è quella diretta alla rimozione del materiale legnoso abbattuto, quello dei fusti stroncati e ancora ancorati al suolo, ma nelle azioni operative, potrebbero essere guardati con favore e attuati interventi virtuosi di diradamento (soprattutto nel caso dei soprassuoli di conifere di impianto artificiale) la cui assenza pregressa può essere inclusa tra i fattori di danno concomitanti. Ulteriore impegno virtuoso riguarda la gestione della biomassa che sarà prelevata: sarebbe necessario uno sforzo di imprenditorialità mirato alla “salvaguardia” degli assortimenti di maggior pregio. Infine la terza fase: quella del ripristino. Si possono presentare due soluzioni. La prima è quella: “lasciamo che la natura sviluppi il suo percorso”. Potrebbe essere vista con favore nei casi di danni limitati anche a tutto il soprassuolo (piccole aperture, chiarie) o a parte di questo purchè siano presenti piante di “avvenire”. La seconda prevede il ripristino diretto ovvero il rimboschimento. Negli ultimi venti anni questo vocabolo è stato poco usato nel mondo forestale del nostro Paese. Del resto i dati statistici di riferimento confermano l’andamento temporale decrescente di questa essenziale attività che nel passato ha rappresento invece anche efficace azione di supporto a momenti di crisi economica. Il rimboschimento, che significa la realizzazione di un nuovo ecosistema bosco, è opera che richiede grande lavoro nel tempo, che è quello, anche molto lungo, dei cicli degli alberi forestali. E’ doveroso insistere su questo concetto e sottolineare come alla stabilità di un “nuovo soprassuolo” concorrono anche le cure che questo riceve. La domanda a questo punto è: siamo capaci di rimboschire? La risposta non è facile, per le varie motivazioni coinvolte, e non può essere affrontata nell’ambito di nota editoriale. Una considerazione di natura prevalentemente tecnica è comunque doverosa e che viene esposta attraverso una ulteriore domanda? Abbiamo a disposizione il materiale di propagazione con caratteri intrinseci ed estrinseci idonei per le condizioni stazionali in cui si potrebbe realizzare il rimboschimento? Purtroppo la risposta è negativa, indipendentemente dalla specie che sarebbe opportuno impiegare. Potremmo importarlo dall’estero inviando, almeno, il seme raccolto da noi!
Raffaello Giannini
Università di Firenze

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Università degli Studi della Basilicata

Marco Borghetti

SAFE - Scuola di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari ed Ambientali Università degli Studi della Basilicata

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