EDITORIALE: La valutazione della qualità della ricerca e della didattica nell’Università italiana: siamo pronti ad affrontare questa sfida?

Lo scorso 23 ottobre 2012 si è svolto a Roma presso la sede del M.I.U.R. (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) un incontro organizzato da A.I.S.S.A. (Associazione Italiana Società Scientifiche Agrarie) dal titolo. “Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali: quali cambiamenti alla luce dell’evoluzione normativa e delle esigenze degli utenti”. L’incontro è stato dedicato alla valutazione della ricerca e alla valutazione della didattica nelle Università italiane e, in particolare, nelle ex Facoltà, ora Dipartimenti o Scuole, di Agraria.
La giornata si è articolata in due parti: la mattina è stata dedicata alla valutazione della ricerca (interventi di Gobbetti, Lenzi, Grignani), il pomeriggio è stato dedicato alla valutazione della didattica (interventi di Pennacchi, Castagnaro e Stella).
Al di là di questa suddivisione, e dei contenuti dei singoli interventi,  è apparso chiaro che il mondo Accademico e, più in generale, il mondo della ricerca italiana deve acquisire la “cultura della valutazione”, e deve avere come riferimento le politiche universitarie europee.
A livello europeo si è infatti osservato, a partire dagli anni ’70 dello scorso secolo, un profondo cambiamento nel sistema di educazione universitaria, con il passaggio da un sistema di élite ad un sistema di massa accessibile a tutti. Questo cambiamento, che rappresenta un indubbio progresso dal punto di vista sociale, ha provocato un forte aumento di studenti e, di conseguenza, un aumento delle sedi, dei corsi universitari e dei docenti. Per controllare questo processo, e per mantenere elevati standard di qualità nell’insegnamento universitario, in molti paesi europei sono stati sviluppati sistemi di valutazione dei docenti, dei corsi di studio e delle sedi universitarie. Questi sistemi sono ormai correntemente utilizzati in tutti i paesi dell’Unione Europea (Italia e la Grecia buone ultime nella loro applicazione) e la valutazione è diventata un argomento prioritario nel processo di Bologna. In particolare, gli standard di qualità e il processo di valutazione della qualità sono stati discussi in modo approfondito nell’incontro di Bergen del 2005 (ENQA, 2009) nel quale è stato stabilito che, pur garantendo l’autonomia dovuta, le Università Europee devono adeguarsi alle nuove riforme e ai nuovi processi di valutazione messi in atto dalle legislazioni nazionali sulla base degli obiettivi del Processo di Bologna (ENQA, 2009. Standards and Guidelines for Quality Assurance in the European Higher Education Area).
Questa premessa è necessaria per contestualizzare il “disorientamento” che stiamo vivendo a livello nazionale, in una fase storica in cui il riferimento principale è per forza di cose rappresentato dal sistema universitario europeo.
La valutazione della ricerca è un argomento che è stato ampiamente discusso in questi ultimi mesi sia per la Valutazione della Qualità della Ricerca in Italia 2004-2010 (VQR), sia per il recente avvio delle procedure dell’Abilitazione Scientifica nazionale.
Al contrario, la valutazione della didattica è un argomento che, per il momento, non è ancora adeguatamente conosciuto dalla comunità scientifica, sia perché l’attenzione è al momento catturata soprattutto dalle procedure di abilitazione, sia perché il Decreto legge che istituisce la valutazione della didattica è recente (DL 27 gennaio 2012, n. 19, Valorizzazione dell’efficienza delle università e conseguente introduzione di meccanismi premiali nella distribuzione di risorse pubbliche sulla base di criteri definiti ex ante), ed entrerà in vigore solo nel 2013 (DL 27 gennaio 2012, n. 19, Valorizzazione dell’efficienza delle universita’ e conseguente introduzione di meccanismi premiali nella distribuzione di risorse pubbliche sulla base di criteri definiti ex ante).
Lo stesso decreto affida all’A.N.V.U.R. (Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca) il compito di fissare metodologie, criteri, parametri ed indicatori per l’accreditamento e per la valutazione periodica, e assegna ad A.N.V.U.R. anche il compito di verifica e monitoraggio dei parametri e degli indicatori di accreditamento e valutazione periodica.
Il processo di valutazione della didattica, che prende il nome di AVA (Autovalutazione, Valutazione esterna ed Accreditamento) ha una importanza fondamentale e sarà centrale per le attività delle nostre sedi e dei nostri Corsi di Laurea nei prossimi anni (ANVUR, 2012. Autovalutazione, valutazione e accreditamento del sistema universitario italiano).
Per capirne l’importanza è sufficiente considerare l’articolo 7 (comma 8 “Le sedi già esistenti che non ottengano l’accreditamento iniziale ai sensi del comma 2 sono soppresse”) e l’articolo 8 (comma 10  “I corsi già attivati che non ottengano l’accreditamento iniziale ai sensi del comma 2 sono soppressi”). Sono parole “forti” alle quali in Italia non siamo abituati. Ma le stesse parole sono invece di uso corrente in Europa e, volenti o nolenti, dovranno diventare di uso corrente anche in Italia.
Al di là della durezza del linguaggio, gli obiettivi di questo processo non sono quelli di ridimensionare il numero di sedi e di corsi, ma quelli di aumentare la qualità dell’offerta formativa dell’Università. Per qualità si intende “il grado in cui le caratteristiche del sistema di formazione e ricerca soddisfano ai requisiti ovvero anche il grado di vicinanza tra obiettivi prestabiliti e risultati ottenuti” (ANVUR, 2012). Questa definizione implica che il sistema universitario italiano e le singole istituzioni dovranno individuare degli obiettivi, il più possibile ambiziosi, e dovranno adottare i comportamenti necessari per raggiungerli e per misurare la vicinanza tra risultati ottenuti e obiettivi previsti.
AVA avrà quindi delle pesanti conseguenze sull’organizzazione generale delle nostre sedi e dei nostri corsi di laurea ma sarà anche l’occasione per ripensare e rimodulare le modalità stesse dell’insegnamento. Anche in questo caso i nostri punti di riferimento dovranno essere quelli Europei ed in particolare quelli che prendono il nome di Descrittori di Dublino.
Nel corso dell’incontro sono emerse difficoltà oggettive e ostacoli nell’applicazione di questi “percorsi virtuosi”. Alcuni di questi sono strutturali dell’Università italiana: ad esempio abbiamo una scarsa disponibilità di fondi (1,26% del PIL a livello Nazionale mentre la strategia di Lisbona prevede il raggiungimento del 3% entro il 2020), e un sistema tradizionalmente basato su una distribuzione a pioggia dei fondi, con relativa dispersione delle eccellenze. Nella maggior parte dei paesi europei, così così come negli USA, è stata avviata da tempo una differenziazione tra Research Universities (dove sono concentrati la maggior parte degli investimenti) e Teaching Universities, ma questa differenziazione non è all’ordine del giorno per le nostre Università. Altri problemi derivano da mancanze e lentezze nell’applicazione di provvedimenti legislativi: ad esempio non abbiamo ancora a tutt’oggi una Anagrafe dei Professori e della ricerca  (prevista dalla L. 9 gennaio 2009, n. 1) che dovrebbe rappresentare la banca dati affidabile e trasparente per tutte le procedure di abilitazione-valutazione.
In tutti questi processi è infine emerso il ruolo fondamentale delle Società Scientifiche quali interlocutori privilegiati per M.I.U.R., C.U.N. (Consiglio Universitario Nazionale) e A.N.V.U.R.
Anche la SISEF è impegnata attivamente allo scopo di contribuire a migliorare la qualità della ricerca e della didattica all’interno dei Corsi di Laurea di carattere forestale-ambientale, e di consolidare e valorizzare il ruolo del settore forestale, in tutte le sue componenti, in questa importante fase di cambiamento.
Renzo Motta
Università di Torino

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