EDITORIALE: Luci e ombre per lo sviluppo degli spazi verdi urbani

Il dibattito e le azioni relative alla pianificazione, progettazione e gestione del verde in città vanno acquisendo sempre maggiore importanza, sotto il profilo sia tecnico-scientifico che sociopolitico: il livello di benessere degli abitanti in città è infatti sempre più percepito anche in relazione alla qualità e all’organizzazione degli spazi verdi. Questa affermazione assume particolare rilievo se si considera che più della metà della popolazione mondiale vive ormai in ambienti urbanizzati. Tale consapevolezza, maturata anche nel nostro Paese, si traduce in atti normativi: in questo contesto è entrata in vigore a metà dello scorso febbraio la legge n. 10/2013 recante nuove norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani.
Pur rappresentando un positivo segnale di interesse politico e pur offrendo un potenziale quadro di opportunità anche per quanto riguarda specificatamente l’insieme di discipline e interventi tesi a gestire gli alberi e i popolamenti forestali in città, si evince una certa carenza di organicità della legge e soprattutto si rileva il rischio che essa rimanga un enunciato senza forza prescrittiva. Si coglie comunque l’occasione di una sintetica disamina della legge stessa per una breve riflessione su alcuni aspetti della effettiva prassi della cosiddetta “selvicoltura urbana” nel nostro Paese.
1. Va premesso che la legge tocca anche due aspetti non strettamente correlati all’ambiente urbano ma comunque di rilevanza per il settore forestale. All’art. 1 viene riconosciuto il 21 novembre quale “Giornata nazionale degli alberi” e viene sottolineata la necessità di promuovere, in tale occasione, iniziative di tipo divulgativo e didattico sul ruolo e importanza multifunzionale di ecosistemi e risorse forestali. All’art. 7 la legge dispone inoltre la definizione nazionale di “albero monumentale” e viene contestualmente disposto il censimento di tali alberi, a cura dei Comuni, aspetto questo di diretto interesse professionale per i laureati in scienze forestali.
2. Agli artt. 2 e 3 la legge introduce modifiche alla legge n. 113/1992, finora in molte realtà inapplicata o solo parzialmente applicata. Al fine di assicurare l’effettivo rispetto dell’obbligo per il Comune di residenza di porre a dimora un albero per ogni neonato, previsto appunto dalla legge del 1992, la nuova legge promuove una specifica procedura di monitoraggio e reporting.
Si contano gli alberi messi a dimora, ma non si parla delle loro appropriate scelta e modalità di piantagione e manutenzione. Sono quasi trecento le specie e varietà di alberi, senza includere palme e arbusti allevati in forma d’albero, presenti nelle principali città italiane. In linea di principio, quasi tutte le specie vegetali possono essere impiegate per il verde urbano, a condizione che le caratteristiche del sito siano compatibili con l’autoecologia delle entità prescelte e a esclusiva eccezione di entità particolarmente sensibili ai fattori inquinanti dell’atmosfera e del suolo. Ai fini di un’adeguata scelta andrebbe prioritariamente sfruttata la grande variabilità tra gli ecotipi delle singole specie e andrebbe valutata la superiore adattabilità di entità autoctone (d’altra parte questa linea operativa va adottata con cautela dato che la distanza ecologica tra ambiente naturale e urbano può essere significativa e, quindi, l’assioma “autoctono = più adattabile” non sempre è giustificato). Quando poi viene piantato un albero, ci si aspetta che cresca secondo le sue specifiche potenzialità e possa sviluppare, con il minor disturbo possibile, la propria architettura aerea e radicale. Nella progettazione e realizzazione delle alberature in città questo intendimento appare non di rado disatteso: frequentemente, si registrano situazioni in cui gli alberi letteralmente “scoppiano” in uno spazio troppo ristretto, non essendo stato adeguatamente valutato lo spazio necessario all’albero nella sua dimensione di individuo adulto. Inoltre, una parte non trascurabile di alberature urbane presenta segni di decadimento e instabilità non solamente per scelte pianificatorie e progettuali inadeguate ma anche per carenza di interventi manutentivi; viene reputato in genere che la manutenzione delle alberature urbane coincida con azioni dirette sui singoli alberi, e, in particolare, con le potature: in realtà, le operazione manutentive sono complesse, di vario tipo e interagiscono in tutte le fasi gestionali.
3. All’art. 4 della legge sono previste misure per la salvaguardia e la gestione delle dotazioni territoriali di standard previste nell’ambito degli strumenti urbanistici attuativi dal decreto ministeriale n. 1444/1968 (e successive modifiche e integrazioni). Il comma 1 prescrive che un Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, appositamente istituito d’intesa con le Regioni e i Comuni presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, presenti annualmente un rapporto sull’applicazione degli standard urbanistici (le cosiddette “superfici minime”). I Comuni che risultino inadempienti sulle quantità minime di spazi pubblici riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi da osservare in rapporto agli insediamenti residenziali e produttivi, sono tenuti ad approvare le necessarie varianti urbanistiche per il verde e i servizi entro il 31 dicembre di ogni anno.
D’altro canto, la definizione dei rapporti minimi inderogabili per la qualità urbana (a esempio, il vincolo minimo di 9 m2 di spazi verdi per abitante), che, dopo il decreto del 1968, è entrata nella prassi urbanistica, può ormai essere considerata relativamente obsoleta, sia per la rigidità insita nella definizione di standard che ignorano le diverse ragioni dell’articolazione delle misure (a esempio, a livello comunale non sono in genere previsti criteri che prendano in considerazione la tipologia del “verde”: boschi in città e parcheggi arborati sono spesso considerati spazi verdi sullo stesso piano), sia per la difficoltà di tradurre le quantità prescritte in maggiori qualità non solo sotto il profilo insediativo ma anche dal punto di vista ecologico-ambientale. Le funzioni ecosistemiche attribuibili agli spazi verdi in città (miglioramento delle condizioni microclimatiche e della qualità dell’aria, conservazione e incremento della biodiversità, ecc.) implicano l’esistenza di determinate condizioni che si realizzano appieno solamente se sono progettati in modo ecologicamente adeguato (a esempio, diversità di microambienti) e si trovano inseriti nell’ambito di sistemi continui e connessi gli uni agli altri; in questa prospettiva, a esempio, emerge l’opportunità che le alberature siano realizzate e gestite quali elementi di una infrastruttura verde in grado di assicurare il collegamento funzionale tra i popolamenti forestali dispersi in ambito urbano (parchi, giardini, ecc.) e l’ecomosaico periurbano.
4. L’art. 6 della legge è focalizzato sulla promozione di iniziative locali per lo sviluppo degli spazi verdi urbani. Al comma 1 è previsto che le Regioni, le Province e i Comuni promuovano l’incremento degli spazi verdi urbani, di cinture verdi intorno alle conurbazioni per delimitare gli spazi urbani, adottando misure per la formazione del personale e l’elaborazione di capitolati finalizzati alla migliore utilizzazione e manutenzione delle aree, e adottano misure volte a favorire il risparmio e l’efficienza energetica, l’assorbimento delle polveri sottili e a ridurre l’effetto di isola di calore estiva, favorendo al contempo una regolare raccolta delle acque piovane. Peraltro la legge prevede che ciò avvenga nell’ambito delle risorse disponibili, ed è quindi da paventarne una certa velleità, tenuto conto della situazione di crisi finanziaria inerente non solo i bilanci degli enti pubblici ma anche lo stesso settore edilizio privato. Il problema di fondo comunque riguarda gli specifici indirizzi pianificatori, progettuali e gestionali per raggiungere gli obiettivi prefigurati: in questa prospettiva non possono essere sottovalutate le competenze del settore selvicolturale, ma ciò dipenderà anche dall’interesse e autorevolezza che esso saprà effettivamente esprimere nei diversi contesti locali.
Ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, ai fini del risparmio del suolo e della salvaguardia delle aree comunali non urbanizzate, i Comuni possono prevedere particolari misure di vantaggio volte a favorire il riuso e la riorganizzazione degli insediamenti residenziali e produttivi esistenti, rispetto alla concessione di aree non urbanizzate ai fini dei suddetti insediamenti, nonché opportuni strumenti e interventi per la conservazione e il ripristino del paesaggio rurale o forestale non urbanizzato di competenza dell’amministrazione comunale. I Comuni e le Province, in base a sistemi di contabilità ambientale, dovranno dare annualmente conto, nei rispettivi siti internet (anche qui c’e’ molto da fare in quanto all’attualità, ove presenti, il loro contenuto informativo sul verde urbano risulta estremamente eterogeneo e non di rado troppo generico), del contenimento o della riduzione delle aree urbanizzate e dell’acquisizione e sistemazione delle aree destinate a verde pubblico dalla strumentazione urbanistica vigente. La complessità dei problemi e delle soluzioni percorribili va dunque affrontata con il supporto di strumenti adeguati, sia di tipo amministrativo e organizzativo sia di tipo pianificatorio e progettuale. Tra questi ultimi, a giudizio dello scrivente, dovrebbero spiccare il piano del verde urbano e annesso regolamento, carenti o del tutto assenti in larga parte delle realtà locali del nostro Paese.
5. Nell’ambito della promozione di iniziative locali per lo sviluppo degli spazi verdi urbani di cui al comma 1 dell’art. 6, la legge prevede la creazione di percorsi formativi per il personale addetto alla manutenzione del verde, anche in collaborazione con le università, e la sensibilizzazione della cittadinanza alla cultura del verde attraverso i canali di comunicazione e di informazione.
Questo auspicato raccordo con la formazione universitaria e post-universitaria, nella quale il settore scientifico-disciplinare selvicolturale può essere prioritario riferimento insieme con quelli della botanica ambientale e applicata, della agronomia, delle coltivazioni erbacee ed arboree, dell’architettura del paesaggio e dell’urbanistica, è di tutto interesse anche perché sottende una diretta connessione con la divulgazione dei risultati della ricerca. Negli ultimi anni le attività di ricerca nel campo della selvicoltura urbana si sono incrementate significativamente anche nel nostro Paese, sotto il profilo delle conoscenze scientifiche di base, delle soluzioni tecniche sviluppate e dei connessi aspetti applicativi di carattere sociale: ne sono testimonianza l’azione europea COST FP1204 Green Infrastructure approach: linking environmental with social aspects in studying and managing urban forests, coordinata da un ricercatore italiano, e la presenza qualificata di docenti e ricercatori italiani nel network dell’European Forum on Urban Forestry, che, tra l’altro, questo anno si terrà a Milano, dal 7 al 11 maggio pv.
Le risorse di know-how dunque non mancano. E a livello politico si registra una certa attenzione, come la legge n. 10/2013 testimonia. È però indispensabile garantire una effettiva coerenza tra gli enunciati e la possibilità di una loro concreta e corretta applicazione.
Piermaria Corona
Presidente SISEF

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Direttore CREA - Foreste e Legno, Arezzo

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