EDITORIALE: Caro GEV07, qualcosa non torna nei tuoi criteri di valutazione

E’ in corso, per le università italiane, la valutazione della qualità della ricerca (VQR) del periodo 2004-2010 da parte di ANVUR (Agenzia Nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca). Tale valutazione avrà un notevole impatto sui finanziamenti dei vari atenei e, qualora gli atenei intendessero farlo, potrà servire per distinguere strutture e settori diversamente produttivi sul piano scientifico, in modo da poter decidere in modo razionale sull’allocazione delle risorse all’interno delle università.

Allo scopo, ANVUR ha istituito dei gruppi di esperti della valutazione (GEV), il GEV07 è quello che si occupa dell’area delle scienze agrarie e veterinarie (area 07).
Lo scorso primo marzo, sono stati resi noti, da parte dei vari GEV, i criteri che saranno adottati per la VQR (scaricabili al sito: http://www.anvur.org/?q=content/composizione-dei-gruppi-di-esperti-della-valutazione).
Bisogna dare atto a tutti i GEV di aver svolto un’intensa e assai apprezzabile mole di lavoro per la messa a punto dei criteri, che per la prima volta in Italia si baseranno sull’uso di indici bibliometrici.
I lavori che perverranno ai GEV (si ricorda che ogni docente/ricercatore è tenuto a indicare i tre suoi migliori  lavori del  periodo 2004-2010) verranno suddivisi fra diverse categorie di qualità (cui corrisponderanno diversi punteggi) sulla base del ranking della rivista all’interno di ogni settore scientifico, determinato sulla base  gli indici di citazioni riportati dalle principali banche dati scientifiche (Thomson Web of Science e Scopus nel caso dell’area 07).
Sin qui tutto bene, è anzi encomiabile che i GEV si siano impegnati nella definizione di convincenti algoritmi di calcolo e confronto.
Qualcosa però non torna.
Il primo punto, comune a diversi GEV, è relativo alle pubblicazioni che non ricadono fra quelle indicizzate dalle banche date internazionali.
E’ bene essere chiari: al di là di tutti i giri di parole, questi prodotti sono, nella stragrande maggioranza dei casi, lavori pubblicati su riviste di modesta importanza, non sottoposti a rigorosi processi di selezione. Stiamo parlando del 2004-2010, non dell’Università del dopoguerra. Sostenere che, in questo periodo, chi ha fatto scoperte o prodotto sintesi scientifiche importanti  possa aver pubblicato solo su riviste non indicizzate appare poco convincente (tenete conto che si tratta dei “migliori” lavori indicati da ciascun docente!).
Ebbene, verso questi prodotti il GEV ha adottato una politica molto benevola. La decisione è stata infatti quella di concedere  loro un processo di peer-review, non ponendo sostanzialmente limiti al punteggio che potranno spuntare. Questa scelta appare  in contraddizione con le parole con cui ANVUR e GEV hanno presentato i criteri, e con il messaggio che hanno voluto indicare ai giovani circa ” l’esistenza di un livello qualitativo anche profondamente diverso tra le varie riviste e che si debba avere, quale obiettivo, quello di pubblicare nelle migliori riviste del proprio settore”.
Il secondo aspetto  appare peculiare del GEV07 o forse della componente ANVUR per l’area 07 (le informazioni che abbiamo assunto non ci hanno finora chiarito la cosa).
E consiste nel destino, decisamente paradossale, che viene individuato per i lavori pubblicati su quelle che unanimemente vengono considerate le riviste più importanti del mondo scientifico, ovvero Nature e Science.
Ebbene (non sobbalzate!) per questi lavori viene prospettato un nuovo processo di referaggio ai fini dell’attribuzione del punteggio. Far referare nuovamente un lavoro pubblicato su Science o Nature, ma vi rendete conto del paradosso? E non è necessario aver pubblicato su queste riviste per capirlo. In questa scelta l’area 07 appare isolata.
Caro GEV-07, per molti aspetti hai lavorato bene, ma c’e’ ancora qualcosa che non torna nei criteri che hai proposto. Per fortuna, c’è ancora tempo per aggiustare.
Marco Borghetti

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SAFE - Scuola di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari ed Ambientali
Università degli Studi della Basilicata

Marco Borghetti

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